Pur non essendo una pianta del clima mediterraneo – i cui grani vengono importati prevalentemente dal sud America o comunque da climi equatoriali – il caffè ha preso piede in Italia come in poche nazioni al mondo. Qui sono stati ideati una serie di usi e costumi, che pian piano sono diventati tradizionali per via della qualità della bevanda prodotta.
Sul finire del 1500 la repubblica marinara di Venezia commercia caffè e proprio lì, nella famosissima Piazza San Marco, un secolo dopo, aprì il primo negozio – bottega, per meglio dire – deputato alla vendita di chicchi e polvere di caffè. Sebbene fosse stata relegata a bevanda del diavolo, ci pensò il papa Clemente VIII a sdoganarla perché troppo buona “per essere lasciata ai miscredenti”. Una volta libera dallo stigma il caffè cominciò la sua diffusione in tutta la penisola italiana, diventando un rito nei “caffè”, appunto, letterari, un punto di incontro, un’abitudine quotidiana per l’Italia-bene.
Nonostante, quindi, non fosse una pianta autoctona del bel paese, fu qui che presero piede e vennero sviluppati i migliori metodi per la sua degustazione. Dopo la presentazione all’Esposizione Universale di Parigi del primo prototipo di macchina da caffè per espresso – sorta con l’intento di velocizzare la produzione nei locali – l’ingegnere Luigi Bezzera crea la prima macchina da espresso a vapore: questo brevetto, tutto italiano, dà il via ad una serie di innovazioni e tentativi di miglioramenti. Cinquant’anni dopo Achille Gaggia ha un’intuizione davvero rivoluzionaria, che cambiò per sempre le sorti del caffè: l’estrazione a pressione, da cui si ricava l’espresso per come lo conosciamo noi oggi, concentrato e fortemente aromatico, con una dorata e densa crema. A tutt’oggi, infatti, le macchine espresso da caffè più rinomate sia per l’ambiente domestico che per il pubblico sono proprio a marchio Gaggia.
Da quel momento in poi si sono avuti dei cambiamenti e delle evoluzioni tecnologiche anche di rilievo da un punto di vista pratico o estetico, ma il caffè espresso è rimasto lo stesso, sostanzialmente. Ne è solo cresciuta la produzione e la richiesta anche in ambiente domestico.
Quello che ha visto una significativa inversione di tendenza invece è stato il caffè realizzato con la moka, seppur immutato fin dagli anni Trenta quando Alfonso Bialetti ideò la “Moka Express” fatta di bachelite – invece, ora le caffettiere sono di alluminio, ma funzionano sempre allo stesso modo nonostante siano passati 90 anni.
Al di là delle evoluzioni tecnologiche in ambito domestico o commerciale, quel che è radicalmente cambiato è il modo di fruire il caffè e il quantitativo. Proprio per la sua provenienza geografica è sempre stato un prodotto costoso, perciò, almeno fino agli anni ‘60 è sempre stato utilizzato con parsimonia. Il caffè espresso preso al bar, nelle caffetterie, o ancor prima nei caffè letterari era un vezzo che non tutti potevano permettersi. Al contrario della moka o della caffettiera napoletana usata in casa che al mattino produceva caffè per tutta la famiglia.
Con il boom economico il caffè, magari complici anche le pubblicità che ne esaltavano le proprietà energizzanti, si è espanso a macchia d’olio nelle abitudini degli italiani: dopo i pasti, a metà pomeriggio, come scusa per un incontro. Comunque, fino a una decina d’anni fa l’espresso da bar restava confinato alle uscite; in casa d’abitudine si usava la moka anche se molti ormai avevano la macchina da espresso che però veniva usata prevalentemente quando c’erano ospiti. Il vero cambiamento radicale si è avuto intorno al 2010 con l’avvento del caffè monoporzionato, ossia in cialde e capsule, che permette di bere a casa – o in ufficio, in negozio, nella sala d’attesa…ovunque – un caffè buono quanto quello del bar, anzi a volte anche migliore.
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